Siamo al gran finale! Ormai l’emozione incominciava a trapelare, mancavano una dozzina di chilometri alla fine del percorso. Giunti alla cima del monte Gozo vedemmo gli enormi resti della visita del papa a Santiago, avvenuta l’anno precedente. |  |
 | E si, dopo tutti questi giorni passati nella natura, l’impatto con la civiltà era duro. Proseguendo la discesa verso il centro scorgemmo il mega ostello della città, ma il centro stesso era coperta da una densa coltre di nebbia. Perdemmo un po’ il simbolo della conchiglia da seguire, ma la gente ci diceva di sempre proseguire che saremmo arrivati alla meta. |
Lasciate alle spalle costruzioni piuttosto recenti, incominciammo ad entrare nella parte antica della città. Le strade incominciarono a stringersi sempre di più e le case erano tutte attaccate una all’altra, e spesso ci si infilava sotto scure arcate in pietra. L’atmosfera era di sapore antico e c’era un certo nervosismo perché non si vedeva niente che potesse indicare che nelle vicinanze c’era una cattedrale, poi d’improvviso, eccoci. |  |
 | L’emozione era grande, la cattedrale appariva imponente, contornata da varie piazzette laterali e da una grandissima sul lato della scalinata principale.
Ci presentammo all’ufficio del pellegrinaggio, dove ci registrarono e rilasciarono il certificato avendo verificato la nostra “credencial”. Ci informarono che la messa per i pellegrini si sarebbe svolta a mezzogiorno. Bighellonammo intorno alla cattedrale e poi vi entrammo, l’atmosfera era magica. |
Scorgemmo subito il mitico “botafumeiro” che pendeva da una carrucola attaccata ad una imponente impalcatura che si innalzava al centro dell’altare principale. Man mano che giravamo intorno incrociavamo diverse facce incontrate durante il pellegrinaggio e ci felicitammo a vicenda.. Scendemmo a visitare la tomba di san Jacopo e devo dire che l’energia era percepibile. Purtroppo il tutto era un po’ kitsh, pieno di coperture dorate, presumo per dare un aspetto un po’ regale a una cripta così numerosamente visitata. La cattedrale incominciò a gremirsi e non trovammo neanche un posto per sederci. |  |
 | Puntualmente si presentò una suora che cominciò un bellissimo canto. Apparvero poi tre preti, quello locale, più uno giapponese e un italiano che avevano fatto il pellegrinaggio. La cerimonia iniziò con la lettura dei nomi di tutti i pellegrini arrivati quel giorno, elencando da dove erano partiti e la loro nazionalità. Inutile nascondere l’emozione quando disse che sono giunti uno svedese e un italiano partiti da Astorga. |
Più tardi, una ragazza messicana che avevamo incontrato sul cammino, ebbe la possibilità di leggere un brano del vangelo durante la liturgia. Con nostra grande delusione però, il “botafumeiro” non venne acceso. |  |
 | Finita la messa ci riversammo nelle strade della città che era piena di gente perché era festa, ed incontrammo diversi gruppi folcloristici che si alternavano nelle varie piazzette del centro. Mi impressiono la forte impronta celtica della musica ed anche il fatto che i partecipanti erano molto giovani . Conoscendo i dischi di Hevia, non fu una sorpresa trovare questo tipo di musica, ma entrando in un negozio di musica, mi fecero capire che questo ultimo era considerato un po’ commerciale e poco autentico, e mi presentarono almeno 15 nomi di gruppi tipici della Galizia che godevano di una grande considerazione da parte della popolazione locale |
Chiesi anche incuriosito come mai così tanti giovani ballavano queste danze celtiche, e mi spiegarono che durante il franchismo non potevano nemmeno parlare la loro lingua, figuriamoci ballare e cantare, quindi questa repressione non ha che amplificato la voglia di ritornare alle proprie radici soprattutto da parte dei giovani i quali, ogni fine settimana, partecipavano ad una gara televisiva, che invitava ogni paese della regione a mandare i loro rappresentanti a confrontarsi tra di loro in tre tipi di balli standard che facevano parte del costume locale. |  |
 | Nel frattempo ci raggiunse Manolo, che ci porto al mare in direzione di Finisterre, cosi battezzata dai romani, che pensavano fosse il punto più rivolto a ponente della penisola iberica. Conobbi una nuova e gustosa specialità della zona che si chiamava peperoni di Padròn, verdi della grandezza di un 5 franchi, che venivano saltati in padella e conditi col sale grosso quando serviti. |